Il diabete tipo 2 ancora oggi rappresenta una delle patologie più difficili da approcciare nella sua complessità a causa del suo decorso progressivo e della molteplicità dei fenomeni fisiopatologici che lo sottendono. Tutto ciò pone il clinico davanti a decisioni che devono essere prese molto precocemente (con riguardo alla storia clinica del paziente) e nel minor tempo possibile e spesso richiedono un processo di engagement del paziente che va a toccare anche la sfera emotiva di quest’ultimo.
Sempre di più, il clinico, oltre alle competenze legate alla gestione della patologia, necessita di un supporto che lo aiuti sia a perfezionare il momento decisionale che a migliorare l’approccio comunicativo-relazionale con il paziente per essere capace di coglierne i bisogni e, aiutandolo a gestire le emozioni, proporre il percorso di cura più adatto, efficace e sicuro, realizzando una vera personalizzazione della terapia.
Spesso ci si domanda quale sia il farmaco più appropriato da utilizzare dopo la metformina o come sostituire una molecola di vecchia generazione che, per quanto efficace nel controllo glicemico, non ha più un profilo di sicurezza adeguato. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento esponenziale delle opzioni terapeutiche, con l’immissione in commercio di nuovi farmaci che presentano dati di sicurezza cardiovascolare molto interessanti, ma, come riportato negli ultimi Annali AMD, sono ancora poco utilizzati dalla classe medica.
Approcciare la terapia iniettiva rimane forse la sfida più importante: sebbene gli ultimi nati nella famiglia degli analoghi del GLP-1 siano oggi molto apprezzati dai clinici e favorenti la gestione della terapia da parte del paziente, permangono insoluti, nella pratica clinica, il problema della barriera iniettiva e quello del retaggio culturale dei medici e dei pazienti “iniezione = insulina= diabete grave”.
Peraltro, a causa della situazione che le strutture sanitarie stanno affrontando per contrastare la pandemia Covid-19, l’accesso alle cure ordinarie è estremamente limitato e si fa concreto il rischio che i pazienti cronici, più vulnerabili, possano vedersi negato l’accesso agli interventi terapeutici.
In queste settimane molti diabetologi sono stati assegnati a reparti Covid-19 o, in virtù della riduzione dell’attività specialistica, ad altri reparti con funzione di ricovero. L’interruzione delle terapie e/o delle visite e/o delle prestazioni diagnostiche può aumentare l’insorgenza delle complicanze e l’aggravamento di quelle preesistenti. È anche necessario considerare la necessità per il medico di ricollocare la propria persona e la propria professione all’interno di un sistema completamente rinnovato.